L’uomo a una dimensione, l’opera principale del filosofo neo-marxista Marcuse, rappresentò negli anni Sessanta una delle critiche più radicali alla moderna società consumistica industriale. La sua polemica verso l’ordine sociale capitalistico offrì una base teorica alla contestazione dei movimenti controculturali. Scritto negli anni della guerra fredda, porta chiari i segni della tensione che dominava il periodo. Marcuse attacca l’irrazionalità della condizione in cui il perenne pericolo costringeva a vivere, ma si spinge oltre, denunciando come totalitaria l’intera società, fin nell’immaginario, nel linguaggio, nella produzione artistica e filosofica, e in particolare nel modo di concepire la scienza e usare la tecnologia. Ma sotto ai complessi ragionamenti filosofici e sociologici il libro è anche uno straordinario racconto di un’epoca recente, ma passata, vissuta tra Unione Sovietica, guerra fredda, pericolo nucleare, grandi fabbriche, partiti comunisti, boom economico e diffusione del benessere. Un’epoca che sembra lontana, irreale per chi è nato dopo, ma da cui ha avuto origine l’ordine oggi in vigore nel mondo.