La fine della storia e l’ultimo uomo (1992) è il saggio più famoso e influente del politologo Francis Fukuyama. Si tratta di un’opera coraggiosa e ambiziosa che ha generato un grande dibattito e, pur meritando già lo status di “pietra miliare”, è destinata a far ancora discutere molto. In tale opera si avanza la tesi che la storia abbia una direzione e tenda ad una meta, e che a tale meta si sia ormai giunti con l’avvento della democrazia liberale. Anche se tale sistema non si è ancora affermato in tutto il mondo, con il fallimento del fascismo e del comunismo e la perdita di legittimità dei regimi autoritari di destra e di sinistra la democrazia liberale è rimasto l’unico sistema dotato di legittimità ed è diventato per tutti il punto di riferimento e la massima aspirazione. Fukuyama appoggia questa tesi alla filosofia di Hegel e vede nella storia uno sviluppo dialettico, in cui una società crolla per le sue contraddizioni interne, dando vita a una nuova società meno contraddittoria, finchè si arriva ad una società priva di contraddizioni interne tali da causarne il crollo: tale società rappresenta lo stadio finale della storia, il punto a cui tutti tendono e oltre cui non si può andare.