Ludwig von Mises scrive In nome dello Stato, uscito postumo, mentre si trova a Ginevra, in fuga da Hitler prima di raggiungere New York. Si tratta di un documento prezioso per rileggere uno dei momenti più tragici della storia d’Europa, alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale. L’economista austriaco ripercorre la storia della cultura tedesca partendo dall’inizio dell’800, quando le idee del liberalismo si diffusero tra gli strati più colti della popolazione. Nella seconda metà del secolo, tuttavia, le masse tedesche si orientarono decisamente verso il nazionalismo e il socialismo, rigettando le idee liberali. Il nazionalsocialismo è dunque un prodotto di quell’avversione nei confronti della libertà individuale e del mercato, che è il tratto comune di tutti i totalitarismi. Al pari del comunismo sovietico, spiega Mises, il nazismo organizza la società in maniera coercitiva. Non sopprime la proprietà privata, ma la svuota di contenuto con una fitta trama di interventi amministrativi. Questo libro ci aiuta quindi a comprendere le ragioni delle terribili tragedie del Novecento, e le conseguenze delle interferenze del potere politico nella società. Le uniche vere alternative contro la barbarie, conclude Mises, sono la limitazione al minimo dello Stato e della politica, e la costruzione di un ordine di mercato fondato sulla proprietà privata.