Il disagio della civiltà è un saggio sociopolitico che appartiene alla maturità del pensiero di Sigmund Freud. Il fondatore della psicanalisi lo scrisse nel 1929, dieci anni dopo la fine dell’immane massacro della Grande Guerra e dieci prima dello scoppio dell’ancor più devastante seconda guerra mondiale, nel corso di una crisi economica mondiale che preparò l’avvento di Hitler al potere. Non meraviglia, dunque, il tono estremamente pessimista e deprimente di quest’opera. Il tema centrale è l’antagonismo tra le pulsioni istintive dell’individuo e le restrizioni imposte dalla società e dal processo di civilizzazione. La sua conclusione è che la società nasce per garantire sicurezza e ordine, ma gli imperativi che essa impone ai singoli sono spesso in contrasto con la soddisfazione degli impulsi atavici, e per nulla sopiti, degli esseri umani. La repressione degli istinti civilizza gli individui, ma li rende anche infelici. Per Freud l’uomo contemporaneo è dunque un “animale malato”, sempre a rischio di cadere nella nevrosi.