L’oppio degli intellettuali costituisce una delle più incisive critiche agli intellettuali di sinistra che siano mai state scritte. Con quest’opera, che ha nello stesso tempo la forma di pamphlet politico e di saggio sociologico, Raymond Aron sfidò con coraggio le idee dominanti tra il ceto intellettuale in un periodo, la prima metà degli anni ’50, di egemonia culturale assoluta del marxismo. L’autore criticò i miti politici (la sinistra, la rivoluzione, il proletariato) e quella forma di idolatria della storia con cui i maestri di pensiero più ascoltati (come Jean-Paul Sartre, Albert Camus, Maurice Merleau-Ponty) giustificavano il totalitarismo sovietico e i suoi crimini, e offrì una spiegazione dei motivi che spingono gli uomini intelligenti ad adottare idee sbagliate. Secondo Aron il comunismo era una “religione secolare”, un surrogato della religione tradizionale che aveva riempito il vuoto lasciato dal lungo processo di secolarizzazione dell’Occidente. L’ideologia politica era diventata quindi una specie di oppio intellettuale che impediva all’intellighenzia fedele alla chiesa madre di Mosca di aprire gli occhi sulla realtà. La lettura di quest’opera spinse diversi studiosi, come François Furet, ad abbandonare l’ideologia comunista.