Socialismo di Ludwig von Mises costituisce ancora, a distanza di quasi un secolo dalla sua pubblicazione, la più radicale e devastante critica che sia mai stata mossa nei confronti di qualsiasi ideologia che postuli una riorganizzazione della società su basi collettivistiche. Sviluppando ulteriormente l’analisi di un suo celebre saggio scritto due anni prima, che aveva dato il via a un importantissimo dibattito sul calcolo economico nel sistema socialista, l’economista austriaco intende dimostrare che l’impraticabilità del socialismo è dovuta prima di tutto a ragioni di ordine intellettuale. Infatti, in assenza della proprietà privata dei mezzi di produzione e del libero scambio, l’autorità centrale preposta alla pianificazione non può mai essere in grado di sapere cosa realizzare e, soprattutto, come realizzarla al meglio, in quanto non dispone di una bussola essenziale per misurare la bontà della propria intrapresa: i prezzi di mercato che emergono dalle libere domande e dalle libere offerte degli operatori economici. In balia delle sole tariffe fissate arbitrariamente dall’autorità centrale, l’intera vita economica è destinata a precipitare nel dispotismo, nel caos e nella miseria più nera.
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