Il Capitale, l’opera principale di Karl Marx, ha avuto un’influenza rilevantissima nella storia del pensiero economico e nelle vicende politiche del XIX e XX secolo, perché contiene la teoria fondamentale del cosiddetto “socialismo scientifico”. Il sottotitolo dell’opera, Critica dell’economia politica, mette in luce la contrapposizione polemica con il pensiero economico “borghese” di stampo liberale a quel tempo prevalente. In quell’epoca gli economisti classici erano soliti concentrare la propria indagine sulla formazione del valore delle merci, e ritenevano che il valore fosse una qualità intrinseca agli oggetti. Marx sosteneva, come Adam Smith e David Ricardo, che il valore degli oggetti originasse dal lavoro in essi incorporato. Egli tuttavia, partendo dalle stesse premesse degli economisti classici, portò i suoi ragionamenti alle logiche conseguenze, e chiamò “plusvalore” quella parte di ricchezza che i lavoratori creano a vantaggio di coloro che possiedono i mezzi di produzione. Secondo Marx i capitalisti espropriano questo surplus di produzione pagando ai lavoratori solo alcune delle ore di lavoro svolte e non tutte. In questo modo Marx riteneva di aver dimostrato lo sfruttamento che la classe salariata subisce nel sistema capitalistico.
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