Nel libro Il cervello ideologico. La scienza dietro gli estremismi, Leor Zmigrod, neuroscienziata e psicologa politica dell’Università di Cambridge, porta alla luce una serie di ricerche che mostrano come la predisposizione all’ideologia non dipenda solo dall’ambiente o dall’educazione, manche da fattori biologici e neurologici. I suoi esperimenti hanno individuato correlazioni tra la rigidità ideologica e specifiche caratteristiche del cervello. Le persone più inclini al pensiero rigido, ad esempio, tendono ad avere livelli più bassi di dopamina nella corteccia prefrontale e livelli più alti nel corpo striato. Inoltre, alcuni studi hanno rivelato che le persone con ideologie più conservatrici presentano un’amigdala di dimensioni maggiori. L’interpretazione di questi dati rimane aperta: è possibile che la nostra biologia predisponga all’adozione di certe ideologie, ma non si può escludere che sia l’esposizione prolungata alle ideologie che influenzi la struttura del cervello. Siamo in presenza del classico dilemma dell’uovo e della gallina. Le ideologie sono seducenti perché soddisfano il bisogno umano di semplificare il mondo, danno spiegazioni immediate, riducono l’incertezza e forniscono un senso di appartenenza. Tuttavia, questo stesso meccanismo rischia di distorcere la nostra esperienza della realtà, perché la rigidità ideologica può diventare una gabbia mentale che ostacola la flessibilità cognitiva. Per queste ragioni, conclude l’autrice, occorre sempre allenare e coltivare la flessibilità mentale.

