Hannah Arendt scrisse questo saggio, inserito all’interno della seconda edizione americana del suo celebre Le origini del totalitarismo e mai pubblicato integralmente in italiano, nel 1958. Erano passati due anni dalla rivoluzione ungherese, repressa dall’intervento brutale dell’Armata Rossa. La Arendt applica la sua teoria sulla natura del potere totalitario agli straordinari eventi ungheresi, analizzando i dodici anni in cui l’Ungheria ha vissuto sotto il totalitarismo sovietico, per poi ribellarsi nel 1956 in quei dodici giorni che hanno fatto storia. La rivoluzione, osserva la Arendt, colse tutti di sorpresa, fu spontanea, non aveva leader, non era organizzata o diretta da qualcuno, ed era mossa solo dal desiderio di libertà e verità. Non ne derivò una guerra civile, né caos o anarchia, ma l’improvvisa nascita dei consigli rivoluzionari che, tuttavia, vennero immediatamente soppressi dalla soverchiante forza dell’URSS. Una particolare attenzione viene infatti rivolta dall’autrice alla natura politica dei consigli rivoluzionari, e alle differenze rispetto ai partiti della democrazia rappresentativi. A suo parere, la libertà scaturita dalla rivoluzione fu superiore addirittura a quella goduta dagli occidentali che vivono nel cosiddetto “mondo libero”. La Arendt sviluppa infine delle ipotesi sulle conseguenze che la rivoluzione ungherese e la sua repressione violenta potranno avere sull’evoluzione futura del dominio totalitario russo.