Panfilo Gentile è stato, fino al momento della sua morte avvenuta a Roma nel 1971, uno degli spiriti più liberi dell’Italia del Novecento. Nel corso della sua vita svolse professioni diverse: fu professore di Filosofia del diritto all’Università di Napoli, avvocato, uomo politico, saggista e commentatore politico per il Corriere della Sera. Denunciò con forza le degenerazioni partitocratiche e clientelari dell’Italia repubblicana, che chiamò sprezzantemente “democrazia mafiosa”. Nel libro L’idea liberale, pubblicato nel 1955, espose con chiarezza una concezione liberale della politica e dell’economia vicina a quella di autori come Einaudi, Röpke, Mises e Hayek. Dopo aver tracciato la storia dell’idea e delle istituzioni liberali, precisò la differenza tra liberalismo e democrazia, e affermò che il collettivismo socialista o comunista non poteva in alcun modo risolvere il “problema sociale” meglio del liberalismo. Egli comprese che il problema politico preminente restava ancora quello di difendere l’individuo dal Potere, dai suoi abusi e dalla sua invadenza: «Un ordinamento liberale è, prima di tutto, un ordinamento nel quale il Potere riceve delle regole e dei limiti; perché per il liberalismo è lo Stato che esiste per l’individuo e non sono gli individui che esistono per lo Stato».