Johan Huizinga, il grande storico e pensatore olandese, diede alle stampe per la prima volta il libro nel 1935, nel pieno del decennio che avrebbe condotto l’Europa a completare, con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, il suicidio iniziato nel 1914. Insieme ad autori come Julien Benda, José Ortega y Gasset e Stefan Zweig, Huizinga fa parte di quella ridotta schiera di intellettuali europei che, nella prima metà del Novecento, hanno espresso un grido d’allarme per il disastro che si stava abbattendo sul vecchio continente, provocato dal rinnegamento dell’intero patrimonio culturale e spirituale della civiltà occidentale. Le nuove filosofie antiumane che affascinavano gli uomini-massa europei esaltavano la violenza, la volontà di potenza, la guerra, il collettivismo, lo Stato amorale e onnipotente, e nello stesso tempo dileggiavano con disprezzo la morale cristiana, liberale e borghese posta a difesa dell’individuo. Il risultato di questa follia collettiva non poteva che essere la catastrofe, proprio come Huizinga aveva esattamente previsto. La crisi della civiltà, infatti, ha nell’originale olandese un titolo forse ancora più evocativo, “Nelle ombre del domani”. Il filosofo olandese, tuttavia, non si abbandona al più completo pessimismo, ma lascia aperta una possibilità di salvezza, se gli europei sapranno tornare ad apprezzare i fondamenti della propria cultura.