L’interferenza dei governi nella vita privata degli individui, osserva lo psicologo belga Mattias Desmet, è un fenomeno in crescita. Si riduce ovunque il diritto alla privacy e le voci dissonanti vengono sempre più spesso censurate e sanzionate, soprattutto con l’affermazione del “politicamente corretto” e nel contesto del dibattito sul clima. Controllare e tracciare i cittadini appare sempre più accettabile, addirittura necessario, e la gente comune ha finito per tollerare, e a volte invocare, misure autoritarie straordinarie. Questo processo, che ha raggiunto l’acme durante la pandemia del Coronavirus, sembra realizzare la visione distopica del futuro evocata da Hannah Arendt, secondo cui un nuovo tipo di totalitarismo, guidato da aridi burocrati e tecnocrati, sarebbe sorto dopo la caduta del nazismo e dello stalinismo. Per attuarsi, tuttavia, il totalitarismo ha necessità di conquistare la mente degli uomini, di “formare la massa”. Desmet descrive lucidamente questo inquietante processo psicologico, attraverso cui gli individui che compongono la massa “totalitarizzata” diventano disponibili all’indottrinamento e all’ascolto della propaganda più assurda, chiedono la soppressione delle voci dissenzienti, e sacrificano i propri interessi personali per solidarietà con la collettività.