In questo libro duro e controverso sulla “letteratura perduta del socialismo”, il critico letterario George Watson, docente dell’università di Cambridge, esamina i testi fondanti del socialismo per scoprire cosa dicono veramente. Il risultato suona decisamente oltraggioso per i custodi dell’ortodossia socialista. Dopo aver esaminato numerose fonti oggi dimenticate, l’autore dimostra che il socialismo, lungi dall’essere “progressista” o “radicale”, fu fin dall’inizio una reazione conservatrice e nostalgica ai cambiamenti e alle innovazioni, queste sì radicali, portate dal capitalismo. Watson riporta numerose affermazioni estremamente violente di Marx, Engels, Shaw, Wells, Lenin o di altri socialisti, oggi tenute ben nascoste ed espunte dal canone ufficiale del socialismo. Pochi conoscono, inoltre, la reiterata affermazione di Hitler secondo cui «l’intero nazionalsocialismo» si basa su Marx. L’analisi di questa documentazione porta Watson a concludere: «Nei cento anni che vanno dalla pubblicazione degli articoli di Marx ed Engels alla morte di Hitler, praticamente tutti coloro che invocarono il genocidio si considerarono socialisti, e non si trovano eccezioni a questa regola».