Lo sguardo dello Stato di James Scott costituisce una lettura spiazzante e anticonvenzionale per la maggioranza dei lettori, in quanto si propone di indagare e di mettere in discussione l’auto-narrazione dispensata dalle élite politiche e tecnocratiche per legittimare le loro azioni. Ricorrendo a una ricostruzione storica minuziosa, l’autore ci espone una strabiliante controstoria, che spazia dagli ambiti e dalle esperienze più disparate. Dalla silvicoltura scientifica prussiana alla pianificazione urbana di Brasilia, passando per la pianificazione centralizzata sovietica e giungendo fino alla villaggizzazione forzata in Tanzania, Scott svela i meccanismi disfunzionali che stanno alla base dell’approccio con cui lo Stato, da sempre, guarda alla società e alla natura. Per poter esercitare il proprio comando, un apparato di coercizione deve necessariamente ricorrere a un’impostazione ultra-semplificatrice della natura, della società e dell’animo umano, perché, per poter controllare tutto, deve ricreare un ecosistema e una popolazione in cui le diversità sono compresse e ingabbiate all’interno di griglie burocratiche e criteri standardizzati, per lui più facili da gestire e manipolare. A farne le spese sono soprattutto quelle conoscenze pratiche e informali che innervano la vita degli individui e delle loro comunità, ma che risultano del tutto irriducibile alle presuntuose esigenze di schematizzazione dell’ingegneria sociale.