Il 1685 è l’anno in cui viene revocato l’editto di Nantes – che sancisce la ripresa ufficiale della sanguinosa persecuzione degli ugonotti, voluta in Francia da Luigi XIV – e dell’ascesa al trono d’Inghilterra di Giacomo II, duca di York. La sua aperta professione di fede nel cattolicesimo aveva scatenato una crisi politica che aveva travalicato le aule parlamentari e si era trasformata in un vero e proprio complotto, il cui esito fallimentare porterà alla fuga in Olanda dello stesso John Locke. Durante il suo esilio olandese, Locke entrò in contratto con i teologi arminiani, che avevano sviluppato una ricca pubblicistica sul tema della tolleranza religiosa. In questo contesto storico e personale, John Locke elabora la Lettera sulla tolleranza, un testo che, secondo l’insigne giurista Francesco Ruffini «si leva, con un volo poderoso, su tutta la letteratura anteriore e precorre in molti punti quanto di più famoso gli stessi secoli seguenti diedero. Non più la sola ingiustizia di uccidere o punire gli eretici, non più il semplice richiamo di una setta perseguitata alla tolleranza, ma la libertà religiosa in tutta la sua moderna estensione e in tutte le sue interne gradazioni vi è oggetto di speculazione e dibattito». Rimangono tuttavia, nella visione del filosofo inglese, alcune singolari limitazioni alla tolleranza, ad esempio verso i cattolici e verso gli atei.