Questa celebre conferenza può essere considerata il testamento spirituale di uno dei più importanti scienziati sociali del Novecento. Il sociologo tedesco traccia in maniera magistrale la sua concezione del ruolo dello scienziato sociale, che – nel duplice significato del termine Beruf ‒ è sia una professione sia una vocazione. Nel mondo moderno, infatti, lo scienziato non può che essere uno specialista, ma deve anche avere una passione divorante per la sua disciplina. Per Max Weber la scienza è avalutativa, perché non può dirci quali valori perseguire, ma può solo indicarci i possibili effetti delle diverse azioni: può formulare valutazioni tecniche sui mezzi e sulle conseguenze delle strategie adottate per perseguire determinati scopi, ma nulla può dire sul valore di questi ultimi, i quali ricadono nella sfera delle decisioni liberamente prese e dell’atteggiamento di ciascuno di fronte alla vita. Lo scienziato sociale non ha quindi il diritto di assumere le vesti di guida etico-politica di fronte al suo pubblico. Fedele a questa sua missione, Weber si rifiutò sempre, a differenza di altri colleghi, di alimentare le illusioni politiche dei suoi studenti atteggiandosi a profeta o demagogo.