Da due secoli a questa parte, a decorrere da quella rivoluzione francese che la storiografia identifica come il periodo di cesura temporale tra l’età moderna e quella contemporanea, in Europa si è forgiato un mito, destinato a diventare una delle principali forze spirituali del nostro tempo: il mito della palingenesi rivoluzionaria e della rottura radicale con il passato, inteso come mezzo eletto per liberare gli uomini dall’oppressione e dallo sfruttamento. Con questa preziosa raccolta di saggi, il sociologo Luciano Pellicani mette a nudo l’inconsistenza di questa narrazione ideologica dimostrando in primo luogo che, ovunque si sia imposta, la rivoluzione, anziché promuovere la libertà e felicità degli uomini, ha spianato la strada alla crescita smisurata del Moloch burocratico-totalitario; secondariamente, che sussiste un nesso inscindibile tra il concetto di rivoluzione e l’idea di totalitarismo, dato che gli obiettivi della politica della tabula rasa e l’ossessione per la redenzione dell’umanità si infrangono contro gli scogli dell’annientamento della spontaneità sociale, trasformando lo Stato-Partito nell’esclusivo regolatore della vita umana.